31 maggio 2023 / Reportage

Il dialogo porta sempre le migliori soluzioni

In Germania, Austria e soprattutto in Francia, negli ultimi vent’anni il personale doganale ha dovuto affrontare massicce trasformazioni. Queste esperienze hanno insegnato che per il successo di una riforma non c’è nulla di più importante del dialogo su base paritaria tra sindacati, partner e autorità e che, se necessario, questo dialogo va imposto.


All’ultima assemblea dei delegati, svoltasi il 5 maggio a Olten, erano presenti anche tre esponenti sindacali di Francia, Germania e Austria: Manuela Donà, segretaria generale del sindacato francese CGT, Wolfgang Kailer, inquirente doganale e rappresentante del personale del sindacato tedesco BZD, e Fritz Mannsberger, presidente del gruppo professionale dogana del sindacato austriaco Finanzgewerkschaft. I tre ospiti hanno spiegato le sfide che i loro sindacati hanno dovuto affrontare e hanno raccontato le loro esperienze anche al nostro giornale.


I confini esterni sono svaniti

Austria, Germania e Francia hanno in comune la realtà dell’UE. I loro confini esterni si sono spostati dapprima nel 1995 e poi nel 2004 con l’estensione a est dell’UE (adesione di Polonia, Slovacchia, Slovenia, Ungheria ecc.). I tre Paesi hanno un confine esterno solo con la Svizzera; l’Austria anche con il Liechtenstein e la Francia, dalla Brexit, con la Gran Bretagna.

Le loro amministrazioni doganali hanno quindi dovuto adeguarsi bruscamente e non senza dolore alle nuove realtà. Il primo terremoto è coinciso con l’abolizione imposta dal diritto UE dei controlli regolari al confine che ha costretto molte guardie di confine a trasferirsi, ad assumere nuovi compiti o a cercare altri sbocchi in polizia. 


La particolarità dello statuto di funzionario

Un’altra differenza rispetto alla Svizzera è data dal fatto che i tre Paesi riconoscono lo statuto di funzionario. Ciò implica che i loro dipendenti vengono assunti per tutta la loro vita professionale e non possono essere licenziati. D’altro canto, però, lo Stato ha il potere di disporre e può decidere di trasferirli dove ritiene più opportuno. Nel caso della Germania o della Francia, potrebbe significare il trasferimento da un capo all’altro del vasto territorio nazionale.

L’Austria, per contro, ha deciso nel 2001 di abolire lo statuto di funzionario, rispettivamente di non assumere più nuovi funzionari. Ha tuttavia mantenuto lo statuto per quelli in servizio che potranno beneficiarne fino al pensionamento. Si prevede che gli ultimi andranno in pensione tra una ventina di anni. Per tutti i nuovi dipendenti statali trova ora applicazione il normale diritto del lavoro.


Morale: il dialogo porta le migliori soluzioni

Per riassumere si può affermare che in tutti e tre i Paesi le soluzioni elaborate congiuntamente da autorità e sindacati hanno dato buone prove. Mentre in Francia molti sindacati hanno unito le forze e sono riusciti a coinvolgere la politica e l’economia, Germania e Austria hanno potuto contare sul sostegno dei sindacati della polizia. In particolare, però, le autorità dei due Paesi germanofoni hanno riconosciuto che l’esperienza e la motivazione del personale doganale sono determinanti per il successo delle loro riforme e non hanno avuto paura di fare un passo indietro e di rivedere, per il bene di tutti, le misure disposte. Nelle prossime pagine vi spieghiamo i molti parallelismi che intercorrono tra Austria, Germania, Francia e Svizzera a livello di digitalizzazione, coinvolgimento del personale e partenariato sociale.



Francia: i sindacati uniscono le forze e coinvolgono politica e economia


La dogana francese attraversa una burrasca che non sembra avere fine: dapprima, con l’adesione all’UE, molti uffici doganali sono stati soppressi, poi è arrivata la Brexit e ora i compiti doganali vengono assegnati a un nuovo ministero. Solo la collaborazione con i sindacati ha permesso di evitare gli errori più gravi di un progetto pianificato male fin dal principio, ma la lotta continua.

Dei tre Paesi presenti all’assemblea, la Francia è quello in cui negli ultimi anni i sindacati sono stati più sollecitati. «È una ristrutturazione a ciclo continuo», riassume Manuela Donà, segretaria generale del sindacato CGT Douanes.


Il pretesto dello Stato: risparmiare costi

Ma procediamo con ordine. Dalla fondazione dell’UE, in particolare negli ultimi dieci anni, la dogana francese ha vissuto profondi cambiamenti. Dal 2013 lo Stato ha ridotto l’organico portando il numero di impieghi da 23 000 a 15 000. Con la Brexit e gli attentati di Parigi, è stato però necessario rimpolpare almeno in parte gli effettivi che oggi contano 17 000 posti. Ricordiamo che la Francia confina con la Gran Bretagna e che la dogana francese collabora alla lotta al terrorismo.

Le battaglie più importanti sono tuttavia state condotte per contrastare una situazione creata dallo Stato senza che ve ne fosse necessità alcuna. Nel 2018 lo Stato ha infatti deciso di trasferire i compiti fiscali dell’amministrazione doganale al ministero delle finanze adducendo che imposte, tributi e finanze rientrano sotto lo stesso cappello e che questa mossa permetterebbe importanti risparmi (di personale). Nel contempo ha annunciato la soppressione di 700 impieghi (stato 2022) in un primo tempo e di altri 3000 negli anni a venire.

«Questo trasferimento di compiti è assolutamente incomprensibile prima di tutto perché la dogana svolge i controlli e riscuote i tributi in modo molto efficace», afferma Donà. «Il pretesto dei risparmi nell’interesse della popolazione è assurdo». Lo Stato ha semplicemente deciso di rinunciare a determinati controlli ma questa scelta implica la perdita di diversi miliardi di euro ogni anno.


Grande giornata di mobilitazione

L’aspetto che ha irritato di più è l’assenza totale di un piano sociale per attenuare gli effetti della soppressione di impieghi. Notabene: una perdita di posti di lavoro senza scopo e senza senso, come hanno sottolineato i sindacati.

Tutti i negoziati tra sindacati e Stato sembravano destinati al fallimento. L’apice delle proteste è stato raggiunto con lo sciopero del 10 marzo 2022. «È stata la più grande mobilitazione del personale doganale da tempo e finalmente, il giorno stesso, il ministero delle finanze ci ha comunicato che si sarebbe impegnato per una conclusione positiva dei negoziati. I ministri francesi temono le proteste di piazza dei doganieri».

Da questo punto di vista, lo sciopero ha segnato davvero una svolta. Donà ricorda: «Il ministro ci ha sottoposto alcune proposte e su questa base abbiamo portato a termine i negoziati con la nostra direzione generale. Ci sono stati dei progressi ma sulla questione del trasferimento dei compiti fiscali restiamo irremovibili. Davanti alla nostra determinazione lo Stato sta facendo almeno in parte marcia indietro».


Tassa sul petrolio: Stato impone misure che nessuno ha chiesto

Donà cita l’esempio della tassa sull’energia. Per risparmiare, lo Stato voleva sopprimere tutti i posti del personale doganale che lavorava direttamente nelle raffinerie e riscuoteva le tasse sulle importazioni di petrolio e di gas in stretta collaborazione con le aziende. «Una decisione priva di qualsiasi senso. Abbiamo contattato le società petrolifere con le quali non abbiamo sempre intrattenuto rapporti idilliaci ma questa volta ci hanno dato il loro pieno appoggio. Anche per loro era importante che questo compito restasse alla dogana, presente sul posto H24», spiega Donà. «Perfino le regioni si sono mobilitate in nostro favore: visto che le entrate fiscali venivano ripartite tra Stato e regioni, temevano massicce perdite».

Davanti a questi argomenti, lo Stato è ancora debitore di una risposta alla domanda sul perché sarebbe redditizio trasferire i compiti doganali al dipartimento delle finanze. Donà rileva: «La riorganizzazione non è razionale e non porta a nulla. Secondo me, i decisori qui commettono un errore. Se non possono giustificare la misura, è probabilmente proprio perché non è giustificabile».


«A cosa serve la dogana?»

Il problema di fondo della dogana francese è diventato esistenziale: «Nel 2019 abbiamo dovuto iniziare a spiegare il ruolo dei doganieri, i loro compiti e il loro mandato». Davanti alla soppressione delle frontiere economiche, a parte quella con la Svizzera, la gente non capiva perché fosse ancora necessario avere dei doganieri. «In Francia i funzionari vengono spesso messi in croce. Ci viene rimproverato di costare tropo allo Stato e ci viene fatto capire che dobbiamo accettare qualsiasi cambiamento senza discutere. In buona sostanza dobbiamo semplicemente essere contenti di avere un lavoro sicuro».

I sindacati si sono quindi resi conto in fretta che per ottenere qualcosa dovevano informare. Bisogna mostrare cifre e fatti a tutti, anche ai parlamentari. Come in Svizzera, anche in Francia sono pochi quelli che sanno come funziona la dogana. Spesso anche quelli che provengono dalle regioni di confine direttamente interessate non ne sanno granché.


Un piano in tre punti: coalizzare, sensibilizzare, comunicare

In un Paese come la Francia, in cui il panorama sindacale è estremamente frazionato, diventa difficile fare fronte comune. Il sindacato CGT con il suo secolo di storia, ad esempio, è un’organizzazione mantello composta da 32 sezioni in rappresentanza di diversi settori ma è solo uno di sette sindacati doganali, tra l’altro estremamente diversi tra loro. Rappresenta il 7 percento del personale doganale, una cifra apparentemente insignificante che però equivale a un terzo dei doganieri organizzati sindacalmente. Non bisogna dimenticare che solo il 20% del personale doganale ha aderito a uno dei sette sindacati. Donà si è quindi fatta carico di un compito importante e lo ha portato avanti con estrema determinazione: elaborare un catalogo congiunto di rivendicazioni per trovare un’unità a livello di comunicazione oltre che di intenzioni.

Questo è stato anche il primo passo della campagna di sensibilizzazione: cercare l’intesa con altri sindacati per creare i cosiddetti «intersyndicales». «Hanno aderito tutti, dall’inizio alla fine». Nella seconda fase si trattava di sensibilizzare le due Camere del Parlamento e attirare la loro attenzione sulle gravi lacune della ristrutturazione prevista. La terza fase avrebbe infine riguardato il coordinamento delle misure e delle azioni di comunicazione, tra cui la pubblicazione di volantini informativi sul ruolo e lo scopo della dogana.


I sindacati possono contattare tutti i dipendenti

I sindacati hanno inoltre avuto una possibilità che al momento è preclusa a Garanto: «Abbiamo sottoscritto una carta con l’amministrazione che ci permette di utilizzare le mailing list per contattare tutti i dipendenti. Funziona molto bene, a prescindere dalla loro appartenenza a un sindacato».

I sindacati hanno elaborato una strategia di comunicazione per raggiungere in modo mirato e con approcci diversi tutti i gruppi target. Donà ne riassume brevemente i contenuti: «Abbiamo comunicato tutto ciò che facciamo. Ogni volta che abbiamo scritto a un parlamentare, a un funzionario o all’amministrazione, abbiamo colto l’occasione per ottimizzare il catalogo delle rivendicazioni per il sostegno sociale. Dopo ogni iniziativa o riunione abbiamo sistematicamente inviato informazioni e documenti a tutti i dipendenti».

Ogni dipendente statale ha a disposizione un’ora pagata al mese o tre per trimestre per attività sindacali. «Abbiamo usato questo tempo per fornire informazioni. Rispetto alle mail questi eventi hanno il vantaggio di permettere uno scambio diretto. L’attenzione è maggiore. Veniamo ascoltati e facciamo passare il nostro messaggio. Nello specifico, presentiamo il catalogo delle rivendicazioni. I dipendenti apprezzano questi momenti. Tra l’altro l’assemblea generale del sindacato è aperta a tutti».


I sindacati hanno coinvolto politica e economia

Gli stravolgimenti imposti dallo Stato non avrebbero avuto ripercussioni solo sulle entrate. Comportavano un indebolimento dei controlli che non piaceva a parti dell’economia. «La nostra politica a tutela dell’economia ha convinto un parlamentare a garantirci un importante appoggio». Anche sul piano politico non manca l’interesse per una protezione sociale e ecologica: «La dogana ha un ruolo importante in questo senso e può evitare che una merce che arriva dall’altro capo del mondo sia trattata come una prodotta in Francia», spiega Donà. «Lavoro a stretto contatto con imprenditori che non vogliono deIocalizzare la loro produzione», rileva Donà. «Anche se qui la dogana non ha molto da dire, questa collaborazione permette di individuare le esigenze dell’economia da discutere sul piano politico. In ogni caso, non è ammissibile che, per un po’ di populismo, un governo prenda decisioni che non convengono a nessuno.



La digitalizzazione, un valido aiuto per la dogana tedesca

In Germania un partenariato efficace tra Stato e sindacati ha permesso di realizzare una riforma senza difficoltà. Straordinario. Una digitalizzazione applicata con criterio ha raccolto i favori del personale doganale. Inoltre, lo Stato è stato capace di correggere in corso d’opera le decisioni controproducenti per i dipendenti. Questa capacità ha avuto riscontri positivi anche per il datore di lavoro.

La Germania si contraddistingue in particolare per due caratteristiche: lo Stato prende molto sul serio le osservazioni dei sindacati e la digitalizzazione avanza al meglio.

Il sindacato BDZ, dal canto suo, si profila per le grandi capacità di mediatore che facilitano il raggiungimento di compromessi con lo Stato. Facendo leva sugli interessi dei singoli, ottiene spesso adeguamenti che in ultima istanza vanno a vantaggio di tutti.


Lo Stato prende il personale sul serio

Quando lo Stato ha deciso di centralizzare in una nuova direzione generale delle dogane con sede a Colonia/Bonn le cinque Bundesfinanzdirektionen con i loro 7800 dipendenti entro il 2016, il BDZ non è certo stato a guardare. Sotto la pressione sindacale lo Stato ha corretto il tiro e ha creato nove direzioni invece di una direzione generale. Un’inversione di rotta che ha visto solo vincitori: i funzionari non hanno dovuto traslocare né cercarsi un nuovo impiego e, grazie alla variante più moderata, la direzione generale ha potuto essere pienamente operativa fin dal primo giorno. «Il nostro sindacato si concentra proprio su questi aspetti. Fortunatamente l’amministrazione non ha fatto orecchie da mercante. Del resto, le serve un personale molto motivato», sottolinea il rappresentante del BDZ Wolfgang Kailer.

In ogni caso, la ristrutturazione della dogana tedesca è stata massiccia. «Il numero degli uffici doganali principali è passato da 120 a 41 con l’estensione a est dell’UE. «Siamo comunque riusciti a rendere i tagli socialmente sostenibili grazie a un catalogo di misure», afferma Kailer. «Ci siamo ad esempio battuti affinché ai padri di famiglia venisse data maggiore attenzione rispetto ai nuovi assunti. A parte qualche rara eccezione, ora tutti i dipendenti lavorano dove volevano». Non si può nascondere che anche la naturale fluttuazione del personale abbia giocato un certo ruolo. Alcuni collaboratori, ad esempio, hanno dovuto trasferirsi solo temporaneamente prima di poter tornare a svolgere la loro funzione nel precedente luogo di lavoro. «Abbiamo detto all’amministrazione di prendersi il tempo di parlare con il personale per capire quali fossero le misure più opportune da adottare. Per il ministero era quindi importante applicare le leggi con una finestra temporale di 1–2 anni e procedere nel rispetto del piano sociale. Questo concedeva tra l’altro agli uffici di servizio un certo margine di manovra. Come detto, il tempo ha permesso di risolvere molti problemi nel migliore dei modi».

A titolo di esempio possiamo citare l’apertura delle frontiere con la Polonia e la Cechia che nel 2004 ha comportato la soppressione di oltre 1000 posti di lavoro. «Grazie alle misure di compensazione siamo riusciti a trovare una soluzione per quasi 1000 dipendenti. A volte abbiamo offerto la stessa attività a centinaia di chilometri di distanza, altre una nuova attività nello stesso luogo di servizio».

Lo Stato si è dimostrato accondiscendente in particolare nei confronti dei dipendenti di lungo corso, sebbene non fosse scontato. «Il personale lo ha apprezzato molto», osserva Kailer. Questo atteggiamento non rispecchiava solo le intenzioni del BDZ ma anche quelle dell’amministrazione: «Chi svolge un’attività contro voglia o in luogo che non ama, non lavora con motivazione. Anzi, continuerà a lamentarsi. Chi invece si identifica con il proprio lavoro, diventa un elemento prezioso che pensa oltre il proprio giardino».


Sistema ATLAS offre un grande aiuto

La dogana tedesca sta inoltre vivendo un processo di digitalizzazione che le consente importanti risparmi di tempo. Le analisi dei rischi vengono ora svolte da ATLAS (Automatisiertes Tarif- und Zollabwicklungs-System), un pacchetto di software basato sull’intelligenza artificiale e in grado di individuare gli invii di merci che non devono essere controllati. «Non si potrebbe fare altrimenti», afferma Kailer. Nel 2020 la Germania ha evaso 79,8 milioni di dichiarazioni all’importazione e 165 milioni all’esportazione.

A queste si sono aggiunti altri 100 milioni a seguito della soppressione dell’esenzione dall’IVA per le merci sotto i 22 euro. Il Parlamento ha concesso alla dogana solo 50 posti di lavoro in più invece del migliaio proposto. Senza «ATLAS-IMPOST» la dogana non sarebbe stata in grado di far fronte a questi importanti volumi di lavoro.

La digitalizzazione ha inoltre migliorato la conciliabilità tra lavoro e famiglia. La pandemia ha accelerato il processo permettendo di fatto il telelavoro che consente tra l’altro allo Stato di risparmiare sugli uffici.y


Meno possibilità di carriera ma buona qualità di vita

La dogana tedesca ha dovuto ridurre massicciamente il proprio personale. Una carriera doganale non è molto interessante tanto più che le possibilità di evolvere sono limitate e gli stipendi sono inferiori a quelli corrisposti dalla polizia. Una situazione che lo Stato cerca di compensare come può.

Un buon esempio in questo senso è la generosità dimostrata dall’amministrazione nei confronti di chi ha preferito passare al controllo delle merci invece che lavorare per le unità mobili che prevedono orari di lavoro 24/7. Una generosità per nulla scontata ma molto apprezzata dal personale.


L’immagine di un sindacato serio

Tutti questi compromessi non sono stati raggiunti perché lo Stato si sentiva in colpa nei confronti del personale doganale per le condizioni di lavoro poco attrattive che offriva ma piuttosto perché il BDZ è considerato un partner affidabile e un valido consigliere e come tale viene coinvolto in tutte le decisioni. «Il BDZ è un sindacato serio che vanta ottime conoscenze. Sappiamo spiegare le decisioni e spesso ci ritroviamo dalla parte dell’amministrazione», spiega Kailer. «Ci focalizziamo sempre su un compromesso negoziato correttamente al fine di garantire ai nostri soci condizioni migliori».



Anche in Austria lo Stato è accondiscendente

Nel 2004 l’Austria ha sciolto il proprio Corpo delle guardie di confine. Per far fronte alla riforma, lo Stato e il sindacato hanno adottato una strategia che puntava sulla libera scelta e sul coinvolgimento del personale.

Nel 2004, a seguito dell’estensione a est dell’UE, l’Austria ha abolito i controlli lungo quasi tutti i suoi confini nazionali. Unica eccezione i pochi chilometri al confine con la Svizzera e il Liechtenstein e gli aeroporti. Davanti all’evidenza che le guardie di confine non avevano più ragion d’essere, la politica ha deciso di sciogliere il corpo per integrarlo nell’amministrazione doganale. «È stata una vera bomba», ricorda Mannsberger.


L’asso nella manica: la libera scelta degli impiegati

L’Austria è riuscita a trasbordare piuttosto bene una parte delle guardie di confine nel ministero degli interni. Dopo la soppressione dei confini orientali, molti dei circa 2200 membri del corpo (exekutiver Wachekörper) sono passati volontariamente alla polizia, subordinata al ministero degli interni. Una parte è invece rimasta all’amministrazione doganale che fa parte del ministero delle finanze. «Dal punto di vista sindacale, abbiamo sostenuto e rappresentato al meglio il corpo. Quando la polizia con il suo forte sindacato otteneva un buon risultato, ne beneficiava anche il personale doganale», osserva Friedrich Mannsberger, presidente del gruppo professionale dogana del sindacato austriaco Finanzgewerkschaft, evidenziando le sinergie tra i due sindacati.

I dipendenti che sono stati trasferiti hanno inoltre ottenuto una garanzia salariale di tre anni sulla base di una disposizione inserita specificatamente per le guardie di confine nella legge sui salari, meglio nota come «Parkdeck-Regelung».

«Questo non basta certo a far felice un dipendente che si identifica con il proprio lavoro. Arriva una stupida riforma e ciao. Come si fa a essere felici? Noi rappresentanti del personale abbiamo cercato di provvedere affinché l’amministrazione coinvolgesse, informasse e accompagnasse al meglio il personale. Oltre alle disposizioni legali abbiamo proposto, laddove necessario, delle varianti di natura sociale», prosegue Mannsberger.

La fase transitoria dopo il 2004 ha permesso di adottare i giusti correttivi. Nei primi anni è stato possibile risolvere la maggior parte dei problemi soprattutto grazie ai negoziati bilaterali tra lo Stato e il sindacato. Le soluzioni sono arrivate da sole. Nel frattempo sono stati creati anche nuovi posti di lavoro interessanti per le guardie di confine che hanno dovuto trasferirsi e i dipendenti più scontenti hanno trovato piuttosto in fretta una funzione adeguata in un luogo di loro gradimento.


Partenariato sociale e consenso

Gli anni della transizione sono stati estremamente intensi per il sindacato. «Ovviamente, a volte, abbiamo dovuto usare le maniere forti per far capire alla controparte che determinate cose non ci andavano bene», ammette Mannsberger. Sottolinea tuttavia che in ogni caso la via del partenariato sociale è sempre stata la via migliore. «Se il sindacato riesce ad avviare un dialogo su base paritaria, riesce anche ad andare più lontano. Se invece scende solo in piazza, è molto più difficile. Per far funzionare una riforma, lo Stato deve guadagnarsi i favori del personale. Il sostegno del personale è imprescindibile».

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